L’amministrazione di Caserta dopo la caduta del fascismo

DUE ANNI DI AMMINISTRAZIONE DEMOCRATICA AL COMUNE DI CASERTA
DOPO LA CADUTA DEL FASCISMO NELLA RELAZIONE DEL SINDACO GIAQUINTO
(1944 – 1946)

di  Olindo  Isernia

Il 9 febbraio 1944, per nomina del governo militare alleato e delle autorità italiane, si insediava, in qualità di commissario, al Comune di Caserta l’ingegnere Luigi Giaquinto, liberale, che prendeva il posto dell’azionista D’Onofrio (G. D’Agostino, Società, elezioni e governo locale a Caserta (1946-1994), in Caserta e la sua diocesi in età moderna e contemporanea, a cura di G. de Nitto e G. Tescione, Napoli 1995, p. 205). Egli a sua volta procedeva alla nomina di dieci subcommissari (ing. Domenico Santangelo, col. Annibale Izzi, sig. Domenico Schiavo, dott. Mario Di Napoli, dott. Eugenio De Negri, ing. Antonino Barone, avv. Antonio De Franchis, prof. Amedeo Boscaino, col. Mario Giaquinto, prof. Vincenzo Bizzarri), perché lo coadiuvassero nella gestione commissariale. Allorché poi, alcuni mesi dopo, ripristinati, in seguito alla circolare Poletti, gli ordinamenti democratici della legge comunale e provinciale del 1915, fu nominato sindaco, diventando in questo modo, dopo la parentesi fascista, il primo sindaco democratico, non elettivo, della città di Caserta, procedette sollecitamente, il 25 maggio, alla formazione della giunta, che fu composta da sei assessori effettivi, avv. Antonino Bologna, dott. Michele Ricciardi, avv. Aristide Saulle, prof. Vincenzo Bizzarri, avv. Antonio De Franchis, sig. Domenico Schiavo, e due assessori supplenti, ing. Antonino Barone e sig. Galileo Cosentino, “quasi tutti appartenenti ai partiti antifascisti ricostituiti nell’epoca clandestina”.

L’ing. Giaquinto aveva accettato l’invito a reggere il peso dell’amministrazione cittadina non senza tentennamenti. Come scrisse, a distanza di due anni, nella relazione illustrativa da lui svolta, Due anni di amministrazione democratica 1944-1946, Caserta 1946, dalla quale sono ricavate le notizie che in questo breve saggio si riportano, si era deciso per il sì soltanto all’ultimo momento, facendo prevalere sui dubbi e sugli interrogativi l’attaccamento e l’amore per la sua “Terra”, che lo aveva visto nascere ed alla quale era legato da vincoli di sangue, “per essere discendente da generazioni antiche di agricoltori che ebbero qui origine e dimora”.

In effetti, il quadro che in quei mesi presentava Caserta, con il fronte di guerra a pochi chilometri di distanza, era, a dir poco, drammatico. I bombardamenti effettuati dagli aerei alleati e le distruzioni operate dai tedeschi avevano lasciato il segno un po’ dovunque. Le strade, le piazze, i ricoveri, malgrado fosse trascorso “non poco tempo dai più gravi di essi”, erano ingombri di macerie, “sotto le quali ancora vittime attendevano di essere disseppellite”. Parecchi palazzi, diroccati o rimasti gravemente lesionati, costituivano, poi, una minaccia per la pubblica incolumità. La viabilità interna ed esterna era ridotta ad un percorso di guerra. Le strade, già gravemente danneggiate ed interrotte in più punti dalle incursioni aeree e dalle mine tedesche, in assenza di qualsiasi manutenzione, “andavano sempre più logorandosi a causa sopratutto dell’intenso traffico militare”. L’illuminazione pubblica non era in funzione ed anche nelle case mancava l’energia elettrica. L’acqua, invece, veniva erogata, ma in quantità insufficiente rispetto alle esigenze della popolazione, per cui “non poche strade, addirittura degli interi rioni” ne restavano totalmente privi. Quanto al servizio di nettezza urbana, era quasi completamente sospeso, un poco perché l’impresa appaltatrice aveva perso buona parte della sua attrezzatura tecnica e un poco perché vantava nei confronti del Comune crediti per diversi milioni. Da per tutto si potevano, perciò, scorgere cumuli di rifiuti, sporcizia e detriti di vario genere che ammorbavano l’aria. La situazione igienico-sanitaria risultava ulteriormente aggravata dalle disastrose condizioni in cui versava la rete fognaria, che era stata in gran parte danneggiata ed interrata dai bombardamenti. Era, perciò, tutt’altro che aleatorio il rischio di epidemie “indigene ed esotiche”. Dal canto suo l’Ospedale Civile, che era l’unico esistente in città, non era in grado di fornire il servizio di assistenza necessario, che diventava sempre più pressante per la guerra in atto, dal momento che, “colpito dai bombardamenti, versava in grave stato di abbandono e di disordine”. Grossi problemi esistevano, infine, sul fronte alimentare, abitativo e della pubblica istruzione. Il mercato alimentare risultava sprovvisto di qualsiasi genere commestibile e niente altro, “all’infuori di un etto di pessimo pane”, era distribuito alla popolazione. Il problema degli alloggi si era fatto sempre più preoccupante e a determinarlo vi concorrevano soprattutto le requisizioni di edifici che per “inderogabili esigenze militari” erano state disposte dal Comando Alleato (a Caserta erano concentrati grandi contingenti di truppe e di mezzi), che, ad un certo punto, si estesero ad un intero rione (via Napoli, via Roma e “trasversali”), lasciando senza tetto un numero considerevole di famiglie, e l’affluenza di profughi e sbandati provenienti dalle zone di combattimento. Le scuole, invece, non funzionavano del tutto, risultando quasi tutti gli edifici scolastici distrutti o danneggiati oppure requisiti per le accennate esigenze militari.

Come si vede, era sul tappeto un gran numero di problemi, determinati e resi acuti in massima parte dalle vicende belliche, cui, in un modo o in un altro, però, occorreva, pur fare fronte. A questi se ne aggiungevano, poi, altri legati allo stato non certo florido delle finanze e degli stessi uffici comunali. Il bilancio del 1943 si era appena chiuso con un disavanzo di oltre un milione e mezzo e, ciò che era più preoccupante, mancava per l’Ente locale qualsiasi prospettiva, considerati i tempi, di “realizzare somme di effettiva importanza” a breve scadenza. Né il Comune poteva più rivolgersi a ditte ed imprese per ottenere forniture o per commissionare l’esecuzione di lavori spesso urgenti, per l’elevata soglia di indebitamento raggiunta. “Una folla di creditori – scriveva il sindaco Giaquinto – attendeva da tempo ed invano il saldo dei propri crediti” ed il Comune, “del tutto discreditato, era praticamente in uno stato di quasi totale paralisi”. Fortemente compromessa era, altresì, l’efficienza dei servizi comunali. Il posto di segretario generale, di colui, cioè, che avrebbe dovuto disciplinare e coordinare i vari uffici, era da tempo vacante e i dipendenti, disorientati e afflitti dalle vicende della guerra, non fornivano “il pieno rendimento richiesto dalla situazione”.

Il sindaco espose alla cittadinanza il programma dell’Amministrazione in una pubblica riunione che si tenne presso palazzo Castropignano, sede del Comune, anch’esso in parte diroccato dalla furia devastatrice della guerra. Alla presenza dei governatori, di ufficiali alleati e di tutte le autorità cittadine, fissò in tre punti le linee fondamentali della azione sua e dei suoi collaboratori: eliminazione graduale dei disagi e degli inconvenienti più gravi fra quelli esposti in precedenza; democratizzazione dell’Amministrazione Comunale e sua riorganizzazione morale, materiale ed economica; ricostituzione della provincia di Terra di Lavoro, che tanto a cuore stava alle popolazioni.

Un bilancio della misura in cui questo programma fu realizzato ci è fornito, come si detto all’inizio, dalla relazione che sull’operato della “prima Amministrazione democratica” della Città di Caserta ci ha lasciato lo stesso sindaco Giaquinto, che reca la data del 10 aprile 1946, tre giorni dopo che si erano tenute a Caserta le prime elezioni amministrative del secondo dopoguerra.

In primo luogo si restituì agli uffici del Comune un più elevato grado di efficienza, che poteva ritenersi soddisfacente in rapporto all’eccezionalità dei tempi. Ciò fu possibile realizzare in seguito alla nomina a segretario generale reggente del dott. Alberto Trepiccione, “funzionario di alta preparazione e lavoratore instancabile”, sostituito, dal 1 gennaio 1945, per ottenuto trasferimento, dall’avv. Geremia Broccoli, in qualità prima di reggente e poi di titolare. Contemporaneamente la concessione da parte delle Autorità superiori di un primo fondo di integrazione del bilancio nella misura di quattro milioni e mezzo consentì all’Amministrazione di porre rimedio al dissesto finanziario. Il Comune, col pagamento dei vecchi debiti, riacquistò la fiducia presso le ditte e le imprese, alle quali fu possibile di nuovo rivolgersi e commissionare tutti quei lavori di somma urgenza, che non potevano essere ulteriormente differiti.

Nella consapevolezza, però, che “non si poteva andare avanti sempre contando nell’aiuto dello Stato”, non appena le migliorate condizioni generali lo permisero, l’Amministrazione retta dal sindaco Giaquinto provvide ad impostare e perseguire “un programma di saggia politica finanziaria, tendente ad ottenere il perfetto risanamento del bilancio comunale”. L’obiettivo di risanamento finanziario, “dopo circa due anni di gestione democratica”, poteva dirsi, a giudizio del sindaco, raggiunto, sia alla luce dell’avanzo di amministrazione di L. 564.181,06 fatto registrare al 31 dicembre 1945, sia, soprattutto, in considerazione che “il bilancio 1946, discusso ed approvato dalla Giunta Municipale nella seduta del 3 aprile corr., non prevede alcuna integrazione da parte dello Stato, ma fronteggia i vari capitoli di spesa esclusivamente con mezzi proprii, così come disposto da inequivocabili disposizioni delle superiori Autorità di Governo”. Tra i provvedimenti finanziari presi dalla giunta vanno, in particolare, evidenziate l’estensione a nuove voci delle imposte di consumo, per cui era prevedibile un gettito sempre maggiore, valutato per il corrente anno sui 18 milioni; la soppressione della imposta di valore locativo e di alcune altre imposte e tasse minori, sostituite dalla imposta di famiglia, di nuova istituzione, da applicare, nelle intenzioni degli amministratori, “con saggia ponderatezza”, chiedendo ad ogni contribuente “soltanto lo sforzo ch’egli può sopportare in dipendenza del suo effettivo stato economico”; e, infine, la concessione di agevolazioni per le classi a reddito fisso e di larghe esenzioni per i meno abbienti, “che stentano a tirare innanzi la vita”.

I primi interventi riguardarono ovviamente lo sgombero delle strade dalle macerie, che consentì anche di dare onorevole sepoltura ai cadaveri che ancora giacevano sotto quei cumuli; la puntellatura o l’abbattimento degli edifici pericolanti; la sistemazione definitiva delle strade di più intenso traffico e la riparazione più sommaria delle altre in modo da renderle sufficientemente transitabili. Più tardi, in questo settore, si mise mano anche a qualche progetto più ambizioso, come l’allargamento di via Giannone, “una delle maggiori aspirazioni dei Casertani”, i cui lavori, nei quali trovò occupazione un numero considerevole di reduci, al momento in cui scriveva l’ing. Giaquinto, dopo non poche difficoltà, erano finalmente iniziati e si trovavano a buon punto. Ugualmente si provvide, avvalendosi dell’opera di esperti urbanisti, a redigere e a sottoporre all’approvazione delle Autorità superiori, un progetto di piano regolatore, che “prevede un ampio sviluppo della Città in direzione delle colline del nord, laddove, fra l’altro, esiste un clima ideale”; e a rivedere e ad aggiornare il vecchio regolamento edilizio “secondo le più moderne vedute in questo campo”.

I servizi pubblici di illuminazione, acqua e gas vennero ripristinati in misura soddisfacente. L’illuminazione privata e, in seguito, quella pubblica, che andava, però, ulteriormente potenziata, erano state ripristinate sia in centro che nelle frazioni periferiche, come pure erano state definitivamente eliminate le frequenti fastidiose interruzioni di corrente. La ricostruzione, avvenuta non senza difficoltà, del gazometro, che aveva subito notevoli danni dai bombardamenti, aveva consentito la ripresa della erogazione del gas, assicurata ormai “alla quasi totalità degli utenti”. Il potenziamento, infine, della rete idrica “con la sostituzione di tratti di tubazione insufficienti in alcune strade cittadine” aveva fatto sì che l’acqua era ritornata dovunque. Restava, però, sempre aperto il problema dell’approvvigionamento idrico delle borgate alte. Il piccolo serbatoio alimentato da un modesto impianto di sollevamento dell’acqua proveniente dalla presa di San Pietro ad Montes, installato a suo tempo dal podestà Giovanni Tescione (G. Tescione, I primi quattro anni di gestione podestarile (Caserta 1927-1931), Caserta 1999, ediz. in facsimile, p. 112 (I ediz. Caserta 1931), risultava ormai del tutto insufficiente a “garantire la continuità del rifornimento idrico pei bisogni locali di quella piccola, ma antica contrada”. La sostituzione della linea elettrica esistente con altra di maggiore sezione (spesa prevista L. 651.134, accettata dalla Società Elettrica della Campania) e le trattative per l’impianto di una moderna pompa e per ottenere la concessione dei tubi per portare l’acqua a Casola, Pozzovetere e Sommana, dove ancora si beveva acqua inquinata delle cisterne, avrebbero portato ad una rapida eliminazione degli inconvenienti.

Anche il servizio di N.U., dopo che il Comune aveva regolarizzato la sua posizione nei confronti della ditta debitrice, da tempo aveva ripreso a funzionare e “attualmente […] se pure – scriveva Giaquinto – non ha raggiunto il più alto grado di efficienza, è in via di progressivo miglioramento, nonostante i gravi oneri derivanti dall’altissimo costo della mano d’opera e dei materiali”. Va segnalata, in particolare, la radicale opera di bonifica del territorio che fu realizzata nell’arco di tempo di alcune settimane, definite igieniche dagli Alleati, da squadre di operai che rimossero la massa dei rifiuti accumulati lungo le strade, ripulendo completamente la città e i dintorni. Al termine dei lavori, all’Amministrazione pervenne il riconoscimento del Comando Militare Alleato, che attribuiva grande importanza ai risultati dell’operazione, e al Comune fu conferito diploma di merito dal generale James Kincaid, commissario per la Provincia di Napoli.

Sul versante, poi, della sanità pubblica il sindaco Giaquinto e la sua giunta agirono con la necessaria tempestività. L’Ospedale Civile “fu riparato, riordinato e potenziato” e “le epidemie, fra cui gravi quelle di vaiuolo e di tifo, furono affrontate con energia e rapidamente stroncate”. Il nosocomio, alla cui direzione fu chiamato il chirurgo e libero docente, prof. Carlo Rendano di Napoli, per la sua capienza limitata non poteva, però, soddisfare in pieno le esigenze crescenti della città. L’Amministrazione aveva, pertanto, cercato di porre rimedio all’inconveniente, chiedendo al Consiglio di amministrazione dell’Ospedale Civile di Napoli “la retrocessione dell’ex Convento dei Cappuccini”. L’edificio, che sarebbe stato consegnato di lì a poco, si adattava ad essere adibito ad “Ospedale di isolamento”. Non era stata trascurata neppure l’iniziativa volta a promuovere la costruzione di un Sanatorio, che si rendeva indispensabile per accogliere e curare gli ammalati di tubercolosi, che, in seguito alla guerra, erano diventati particolarmente numerosi.

Come sappiamo, sindaco e giunta dovettero affrontare altre due impellenti questioni, riguardanti, da un lato, il mercato alimentare e il rifornimento dei viveri alla cittadinanza e, dall’altro, la crisi degli alloggi. Quanto alla prima questione fu regolarizzato ed incrementato il servizio di distribuzione dei generi alimentari, consentendo al mercato libero di arricchirsi di prodotti di vario genere. Fu incoraggiata e sostenuta la costituzione di cooperative e vennero prese “misure per la disciplina dei prezzi”. A questo scopo il Comune di Caserta si fece promotore di riunioni periodiche tra i sindaci dei Comuni limitrofi con l’intento “di conseguire la uniformità dei prezzi dei generi di più largo consumo”, evitando, in questo modo, che essi “affluissero di preferenza sui mercati più sostenuti, lasciando sforniti gli altri, come sovente avveniva”. Il servizio, poi, della distribuzione dei generi tesserati fu sempre effettuato regolarmente, per cui “in nessun giorno la cittadinanza è rimasta, come purtroppo in qualche Comune, priva di pane”. Più di recente, era stato studiato ed approvato “un organico riordinamento e regolamento del mercato ortofrutticolo” ed era stato istituito “un Centro Comunale raccolta latte”. Funzionavano, inoltre, due mense popolari, alle quali non erano mancate “le cure dell’Amministrazione Comunale per la parte di sua competenza”.

Anche se fra mille difficoltà fu fronteggiata anche la crisi degli alloggi e si riuscì ad assicurare un tetto non solo ai cittadini “sinistrati e fatti sloggiare”, ma anche ai profughi. A questi ultimi furono elargiti anche altri tipi di aiuto. A questo scopo, erano stati istituiti il “Comitato di Solidarietà Umana” e il “Comitato di Assistenza ai Profughi” e iniziative quali manifestazioni artistiche, conferenze, sottoscrizioni servirono specificamente a raccogliere parte dei fondi necessari da utilizzare per la loro assistenza. All’assistenza ai reduci si provvide, invece, impiegando costoro nei lavori di interesse pubblico (allargamento di via Giannone, lavori stradali in genere). Da poco, intanto, si era provveduto ad unificare tutti i servizi di assistenza con l’istituzione di un unico sportello comunale. Era stato costituito, infine, un Commissariato per sopperire alla crisi degli alloggi, che, secondo il sindaco Giaquinto, poteva, però, essere avviata a soluzione soltanto con la realizzazione di un piano di edilizia popolare da realizzarsi col contributo determinante dello Stato.

C’era, poi, da condurre a buon fine quella che, senz’altro, era la questione di maggiore e fondamentale importanza, che tanto a cuore stava a tutta la popolazione del Casertano: la ricostituzione della Provincia. Malgrado le innumerevoli emergenze con le quali occorreva fare i conti, sindaco e giunta, fin dall’inizio della loro gestione amministrativa, impiegarono ogni energia per il raggiungimento di questo obiettivo, come stanno a dimostrare i numerosi viaggi, che nella relazione, sono annotati scrupolosamente: due a Salerno, nel maggio 1944, dove all’epoca risiedeva il secondo governo Badoglio, due a Sorrento per incontrare il senatore Benedetto Croce, otto a Roma durante il primo e il secondo governo Badoglio. Le varie fasi dei colloqui e gli esiti delle trattative sono ricostruititi in una lunga corrispondenza inviata dall’Amministrazione Comunale, a vicenda conclusa, all’on. Persico, presidente dell’associazione “Pro Terra di Lavoro”, e pubblicata integralmente nel già citato opuscolo, Due anni di amministrazione democratica 1944-1946, che ora qui si riproduce in appendice.

Fin dagli incontri con gli esponenti del governo Badoglio erano sorte serie difficoltà. Dagli incontri era emerso che il punto di vista dei competenti ministeri era “molto discosto”da quello della delegazione casertana, di cui faceva parte anche l’on. Clemente Piscitelli, “in quanto si faceva dipendere il provvedimento di ricostituzione della Provincia dalla volontà democratica, liberamente espressa, di tutte le popolazioni interessate al problema stesso”. Era stato, quindi, suggerito all’ing. Giaquinto, nella sua qualità di sindaco di Caserta, e all’on. Piscitelli, nella sua qualità di presidente del CLN, di premunirsi “dei deliberati e dei voti favorevoli delle Provincie interessate e dei CLN”. La strada che si suggeriva di percorrere era, come si può comprendere facilmente, irta di ostacoli, perché i CLN erano “impreparati al compito” ed era utopia pensare che le Provincie, alcune delle quali non ancora liberate (la guerra era allora a Mignano), “potessero aderire con facilità alla richiesta non certo favorevole ai loro interessi”. L’unico risultato certo sarebbe stato quello di rinviare “la soluzione della questione ad epoca indefinita”. Ciò spiega i due viaggi effettuati dal sindaco a Sorrento, per chiedere il consiglio e l’appoggio di Benedetto Croce, che “approvò in pieno” e “sostenne per iscritto e nel Governo di cui faceva parte” i criteri che, secondo l’Amministrazione comunale, avrebbero dovuto guidare il Governo, vale a dire che era “dovere, da parte di un Governo veramente democratico; diritto da parte delle popolazioni” che si dovesse procedere alla ricostituzione della Provincia di Terra di Lavoro “come cancellazione di un atto iniquo commesso dal governo fascista”.

Trasferitosi e ricostituito sotto la presidenza di Bonomi, nel giugno 1944, dopo la liberazione della città, il governo a Roma, “lo studio del problema fu ripreso sotto il profilo tracciato e sostenuto da quest’Amministrazione”. I tecnici e i funzionari delegati iniziarono allora a lavorare ad “un progetto di ricostituzione della Provincia di Terra di Lavoro, inquadrato in progetti riflettenti altre Provincie, già tali (Frosinone, Littoria) o nuove erigende (Gaeta)”. Durante questa fase un sollecito impulso ai lavori venne dato dal sottosegretario agli Interni, Canevari, con il quale il sindaco Giaquinto ebbe frequenti e numerosi contatti. Nessuna intesa si stabilì, invece, con l’on. Persico, all’epoca prefetto di Roma, che seguiva ed era interessato anche lui al problema. Questa mancata collaborazione, che, come si riconosce nella lettera, “sarebbe stata indubbiamente altamente utile ai fini prefissi”, era giustificata, in parte, con la limitata disponibilità di tempo, “tutto dedicato a seguire pratiche, funzionari e Ministri”, e, in parte, con il convincimento che, dovendo per necessità di cose risultare limitato il piano di ricostituzione della provincia, l’on. Persico fosse interessato soltanto all’inserimento di alcune zone.

I lavori, in ogni modo, erano giunti pressoché a buon punto, quando intervenne la crisi di governo. Costituitosi il secondo ministero Bonomi, tutto quanto era stato realizzato fino a quel momento fu, però, giudicato da questo “confuso, impreciso nelle linee risolutive, causa soprattutto di scontento e d’allarme per le Provincie interessate” e se ne sospese quindi ogni ulteriore sviluppo. Divenne, allora, frequente la spola tra Caserta e Roma del sindaco e dei suoi collaboratori per “diradare i dubbi e fugare le preoccupazioni del Governo”, illustrare il punto di vista dell’Amministrazione e far conoscere “le aspirazioni delle popolazioni della ricostituenda Provincia”. In particolare, fu fatto risaltare che la Provincia di Caserta, così come era stata progettata fino a quel momento, sostanzialmente “veniva ad essere inscritta nelle Provincie interessate”, ad eccezione dei tenimenti di Venafro (prov. di Campobasso) e di Limatola (prov. di Benevento). L’inclusione, però, di questi ultimi territori, oltre a rispondere alla logica di un “giusto criterio integrativo”, inteso quale “riparazione per i vastissimi territori esclusi”, teneva conto soprattutto “delle autodecisioni di quelle popolazioni che, in vibranti ordini del giorno, avevano plebiscitariamente espresso il loro desiderio di venire a far parte della ripristinata Provincia”.

Venne ripreso allora lo studio del problema e si giunse alla “adozione di un provvedimento”, il quale, come si legge sempre nella lettera, “ebbe la approvazione e il consenso degli organi politici localmente interessati, i quali, nei contatti avuti con i competenti organi centrali, insistevano tutti sulla urgenza del provvedimento stesso, così come nelle sue linee fondamentali tracciato, sempre fatti salvi, come anche da parte di questa Amministrazione, tutti i diritti relativi ad ampliamenti e restituzione di altre zone, in merito ai quali ci furono fatte le più ampie promesse”. E’ evidente come l’Amministrazione comunale tenesse a sottolineare che nessuna rinunzia di diritti, “anche se da farsi valere in futuro momento”, c’era stata in cambio della sollecita concessione. In effetti, però, malgrado la prospettiva di future, ma tutt’altro che scontate, concessioni, la rinata Provincia usciva fortemente ridimensionata per estensione ed importanza rispetto a quella che era stata soppressa dal fascismo. Ottantasette Comuni, già appartenenti alla Terra di Lavoro, non erano stato inclusi nella ricostituita Provincia, né ad essa erano stati assegnati i territori di Venafro e di Limatola.

Nella speranza di un successivo ulteriore ingrandimento territoriale mostravano, invece, di confidare sindaco e giunta. Ora che si potevano considerare chiariti i malintesi, sorti soprattutto a causa “della urgenza di avere un provvedimento che troppo tardava e che le popolazioni invocavano” col ricorso spesso anche a manifestazioni di piazza, essi ritenevano che si potesse stabilire una stretta e proficua collaborazione tra l’Amministrazione comunale e l’associazione “Pro Terra di Lavoro”, per “passare in armonia alla seconda fase del problema, ritornare, cioè sulle promesse e sulle assicurazioni fatteci dagli uomini di Governo responsabili”. Non vi era, infatti, dubbio, riconoscevano nella lettera, che “se i nostri sforzi si fossero uniti a quelli che, parallelamente, cotesta Associazione compiva per conto suo, i risultati sarebbero stati alquanto differenti” e Venafro e Limatola sarebbero già stati compresi nella rinata Provincia, mentre ora, per vedere realizzate le loro aspirazioni, quelle popolazioni erano ancora costrette a far voti e a protestare per la loro esclusione e si era giunti, a Limatola, al punto di allontanare perfino il sindaco, che non era del posto ed era la “unica persona, o quasi, contraria all’annessione e che si ostinava a non permettere alla Giunta di formulare voti” in tal senso.

La ricostituzione della Provincia, restituendo Caserta alla sua funzione di capoluogo, comportò la risoluzione di tutta una serie di problemi di sistemazione logistica, nella quale la giunta si impegnò attivamente, anche per scongiurare l’eventualità di un slittamento dell’entrata in funzione del nuovo Ente amministrativo, fissata al 1 settembre. Si trattava di un compito per nulla semplice, dovendosi provvedere a reperire una sede agli uffici di Prefettura, Questura, Intendenza di Finanza, Sepral ecc., andando ad incidere su una realtà abitativa che, come si è visto, presentava un precario equilibrio, con l’aggravante che la “quasi totalità degli edifici pubblici” era stata requisita dalle forze armate alleate. Esclusa la possibilità di alloggiare la Prefettura nel Palazzo Castropignano, dove un tempo aveva la sua sede, ma ormai occupato dagli uffici comunali, la scelta cadde sul “vecchio ma molto ampio Palazzo di Piazza Vanvitelli”, che, “in tempo brevissimo”, fu sgombrato dalle scuole e dalle numerose famiglie di profughi che vi avevano trovato ospitalità, alle quali si trovò una sistemazione altrove. Si iniziarono, quindi, senza perdere tempo, i lavori “di adattamento e di pulizia generale” e, dopo poco, cominciarono “anche quelli di ricostruzione dell’ala diroccata dai bombardamenti”. In questo modo, grazie al lavoro di squadre di operai, che “si alternarono infaticabilmente”, venne realizzato, “a tempo di primato”, il minimo indispensabile degli interventi, così che, alla data stabilita nel decreto di ricostituzione, la Provincia di Caserta “potette iniziare il suo effettivo funzionamento”. In Palazzo Vecchio furono ospitati gli uffici e l’abitazione del prefetto, quelli della Questura, dell’Intendenza di finanza, della Sepral, dell’Unrra e di altri uffici minori. Soltanto per l’Intendenza di Finanza si trattava di una sede provvisoria, in attesa di poter rientrare in possesso della sua “antica sede al Corso Umberto”.

Le ultime pagine della sua relazione furono dedicate dal sindaco Giaquinto ai temi della ricostruzione edilizia, della rinascita economica e dello sport, della Biblioteca comunale e delle manifestazioni culturali.

Si è già accennato alla ricostruzione del Gazometro, già condotta a termine, e alle riparazioni e ai restauri realizzati al Palazzo Vecchio. Altri interventi riguardarono l’Ospedale Civile, che, come quello al Gazometro, era già stato condotto a termine, Palazzo Castropignano, gli edifici scolastici, R. Liceo Classico “P. Giannone” e Palestra Ginnastica, che erano, invece, ancora in corso. Non minore attenzione era stata rivolta alla ricostruzione delle abitazione danneggiate dei senza tetto. Lo speciale Comitato, istituito a questo scopo, su 649 perizie presentate, ne aveva evase 612, liquidando pagamenti per la somma di L. 14.333.958,30.

Sebbene fosse costretta ad operare in una situazione di continua emergenza, la giunta non si disinteressò di provvedere alla pubblica beneficenza (in particolare, cospicui aiuti furono concessi dal Comune all’Orfanotrofio di S. Antonio, sorto ad iniziativa del sacerdote Vallarelli, al quale fornì “i locali necessari per il ricovero del primo gruppo di 25 orfani”), come pure di favorire tutte quelle iniziative che servissero al rilancio economico di Caserta, sia nel settore del turismo, che in quello industriale tipico della zona (seta, calce, conserva alimentare); né trascurò di dare impulso alla ripresa della vita culturale cittadina, non solo ricostituendo la Biblioteca Civica, inaugurata “solennemente” il 4 aprile 1946, dopo che un’apposita Commissione, nominata e presieduta dal sindaco stesso, aveva provveduto ad approntare i locali, a raccogliere e inventariare i volumi (oltre seimila libri, “molti dei quali salvati da sicura distruzione, nei momenti di maggior pericolo per la Città”) e a procurare il necessario arredamento, ma anche organizzando manifestazioni culturali di un certo rilievo, quale quella che si svolse in occasione della inaugurazione (2 aprile 1946), nel R. Liceo Classico, di un’aula, arredata, a spese del Comune, con banchi e scrittoi in stile moderno, “dedicata alla memoria di Alfonso Ruggiero, benemerito ed illustre Cittadino di nobile nostra Terra, la cui figura di educatore e di letterato venne efficacemente rievocata dal Prof. Mariano Venditto”.

Nel momento in cui lasciava il posto alla nuova Amministrazione, soltanto da pochi giorni eletta, il sindaco si riteneva sufficientemente ricompensato, e con lui i suoi collaboratori, “dalla intima persuasione di avere […] operato nell’interesse della cittadinanza e di avere portato a sufficiente soluzione i problemi che costituivano il programma dell’Amministrazione”. Altresì rivendicava alla giunta da lui presieduta di essersi sempre attenuta alle “rigide direttive di amministrazione, le quali esulavano dalla politica e dalla considerazione di interessi particolari di gruppi o di persone”. E tutto ciò risultava tanto più significativo, se si considerava che tali risultati erano stati conseguiti non solo superando gravissime difficoltà “derivanti dallo stato di guerra e dal malgoverno del ventennio di dittatura”, ma anche ostacoli, “forse altrettanto gravi”, che all’opera dell’Amministrazione aveva opposto “un ristretto gruppo di persone, le quali, animate solo da odio di parte e senza tener conto dei veri interessi della cittadinanza, di altro non si sono preoccupate che di sabotare il lavoro di riorganizzazione e risanamento della vita cittadina”.

A chi l’ing. Giaquinto facesse riferimento, accennando a questo “ristretto gruppo di persone” (un poco più innanzi parlerà di “insidiosa animosità di pochi indegni”) non è al momento dato di sapere. Si tratta, comunque, di un dato di un certo interesse sapere che già in quegli anni di transizione esistesse un’opposizione, che, per di più, non pochi grattacapi, stando alle parole dello stesso sindaco, era stata capace di procurare agli amministratori. Quale poi fosse la natura di questa opposizione (politica oppure, più semplicemente, dettata da meschini calcoli di personale tornaconto) è un’altra domanda alla quale, forse, solo un attento spoglio della stampa periodica del tempo potrà dare una risposta.

 

 

APPENDICE

Si trascrive la lettera, diretta all’on. Persico, presidente dell’associazione “Pro Terra di Lavoro”, così come è riportata nell’opuscolo, senza intestazione e firma finale.

“Gli scopi ed il programma che, giusta la circolare 27 giugno pervenutami il 7 luglio, informano cotesta Associazione nell’interesse della finalmente ricostituita Provincia di “Terra di Lavoro”, hanno trovato unanime consenso da parte di quest’Amministrazione e lusinghiero apprezzamento da parte della cittadinanza.

“Giunga, perciò, innanzi tutto, un grato saluto a V.S. per la nobile iniziativa: saluto estensibile a tutti i figli di questa ferace “Terra” uniti nell’Associazione che Lei presiede e impersona, stretti in nobile unità di intenti e di lavoro.

“Al solo fine di ben chiarire qualche passato atteggiamento, che potrebbe tuttora costì essere rimasto oscuro, e permettere una reale, concorde fusione di intendimenti e di opere fra codesta Associazione e quanti di qui perseguono i medesimi scopi di questa, nello interesse comune del benessere e dell’incremento della risorta Provincia, non parmi fuor di luogo riassumere a V.S., in rapido volo, l’opera svolta da quest’Amministrazione e da alcuni uomini politici locali fra i quali primissimo l’On. Avv. Clemente Piscitelli, per iniziare e condurre coi vari Governi le trattative che poi, in definitiva, portarono al provvedimento di giustizia sì a lungo invocato.

“Mi riferisco, per prima, ai contatti ed alle discussioni avute col secondo Governo Badoglio, di residenza a Salerno, nel maggio 1944.

Il punto di vista dei competenti Ministeri in merito alla soluzione del problema in parola era, invero, molto discosto dal nostro, in quanto si faceva dipendere il provvedimento di ricostituzione della Provincia dalla volontà democratica, liberamente espressa, di tutte le popolazioni interessate al problema stesso.

“In particolare, al sottoscritto e all’On. Clemente Piscitelli, Presidente del C.L.N., fu suggerito che avremmo dovuto premunirci dei deliberati e dei voti favorevoli delle Provincie interessate e dei C.L.N.

“La guerra era allora a Mignano.

“I C.L.N. erano impreparati al compito e poco al corrente del problema nei suoi elementi e nei suoi precedenti, mentre utopia era pensare che le Provincie (alcune delle quali non ancora liberate) potessero aderire con facilità alla richiesta non certo favorevole ai loro interessi. Voler seguire questa via significava differire la discussione e la soluzione della questione ad epoca indefinita.

“Seguendo, perciò, difficoltà di ordine materiale, gravissime in quel momento, e poco persuaso del convincimento democratico di quegli uomini politici, i quali nella ebbrezza della riconquistata libertà, di questa non ancora individuati i confini oltre i quali essa stessa si risolve in palese ingiustizia, propendevano per l’indirizzo governativo, chiesi il consiglio e l’appoggio di Benedetto Croce, al quale espressi i criteri che, secondo quest’Amministrazione, avrebbero dovuto guidare il Governo nello esame e nella definizione del problema, nel senso, cioè, che bisognasse senz’altro ricostituire la Provincia di Terra di Lavoro, come cancellazione di un atto iniquo commesso dal governo fascista: dovere, da parte di un Governo veramente democratico; diritto da parte delle popolazioni colpite.

“Benedetto Croce approvò in pieno tale principio, che sostenne per iscritto e nel Governo di cui faceva parte.

   “Questi i primi passi.

“A Roma, dove nel giugno 1944, poco dopo la liberazione della Città, il Governo erasi trasferito e ricostituito, Presidente l’On. Bonomi, lo studio del problema fu ripreso, sotto il profilo tracciato e sostenuto da quest’Amministrazione ed i funzionari, competenti e delegati per lo studio di esso, iniziarono i lavori per la compilazione di un progetto di ricostituzione della Provincia di Terra di Lavoro inquadrato in progetti riflettenti altre Provincie, già tali (Frosinone, Littoria), o nuove erigende (Gaeta).

“Mi è gradito, a tal punto, ricordare l’opera svolta dall’allora Sottosegretario agli Interni, Ecc. Canevari, il quale diede un sollecito impulso agli studi ed ai lavori, come detto, soddisfacentemente ripresi.

“Nei contatti che, frequenti, ebbi col prelodato Sottosegretario, più volte mi accorsi che il problema veniva esaminato e curato dal Prefetto di Roma, On. Persico. E poiché, come si è detto, il piano ricostruttivo della nostra Provincia era collegato con quelli riguardanti altre Provincie, dai quali necessariamente limitato, mi parve che l’interessamento di V.S. fosse rivolto verso alcune zone soltanto che Le stavano particolarmente a cuore.

“Tale convincimento, unitamente alla poca disponibilità di tempo, tutto dedicato a seguire pratiche, funzionari e Ministri, impedirono che da parte nostra si pensasse di potersi giovare dell’opera di V.S., che sarebbe stata indubbiamente altamente utile ai fini prefissi.

“La crisi che si determinò nel primo Gabinetto Bonomi, quando i lavori per la ricostituzione della Provincia erano pressoché a buon punto, determinò una nuova perdita di tempo e, quando i lavori stessi furono ripresi sotto il secondo Ministero Bonomi, il problema fu da questo visto come confuso, impreciso nelle linee risolutive, causa sopratutto di scontento e d’allarme per le Provincie interessate, e quindi al Governo sembrò opportuno sospenderne ogni ulteriore sviluppo.

L’opera andava ripresa da principio!

“A diradare i dubbi e fugare le preoccupazioni del Governo, si resero necessari nuovi colloqui con i Ministri competenti (Presidente del Consiglio, Sottosegretari alla Presidenza ed agli Interni, ecc.), ai quali fu ripetuto e illustrato il concetto innanzi chiarito, che avrebbe dovuto informare la soluzione del problema e furono fatte conoscere le aspirazioni delle popolazioni della ricostituenda Provincia.

“A maggior assicurazione, fu anche fatto notare che la nostra Provincia, così come al momento progettata, veniva ad essere inscritta nelle Provincie interessate, e che solamente per i tenimenti di Venafro e di Limatola si incidevano le Provincie di Campobasso e Benevento, secondo, peraltro, un indiscutibilmente giusto criterio integrativo, improntato a considerazioni di riparazione per i vastissimi territori esclusi, nonché etniche, storiche, geografiche, economiche e tecniche, e per il rispetto delle autodecisioni di quelle popolazioni che, in vibranti ordini del giorno, avevano plebiscitariamente espresso il loro desiderio di venire a far parte della ripristinata Provincia.

“Fu in tal modo nuovamente avviato lo studio del problema verso l’adozione di un provvedimento che ebbe la approvazione e il consenso degli organi politici localmente interessati, i quali, nei contatti avuti con i competenti organi centrali, insistevano tutti sulla urgenza del provvedimento stesso, così come nelle sue linee fondamentali tracciato, sempre fatti salvi, come anche da parte di questa Amministrazione, tutti i diritti relativi ad ampliamenti e restituzioni di altre zone, in merito ai quali ci furono fatte le più ampie promesse.

“Pur compresi, come detto, della necessità che l’invocato provvedimento riparatore non tardasse, non si intese mai barattare la maggiore o minore sollecitudine, con cui lo stesso potesse essere facilmente concesso, con la rinuncia a taluni, anche soltanto, dei diritti della nostra ferace “Terra”, anche se da farsi valere in futuro momento.

“La esposizione, sia pure fugace, dell’opera svolta da questa Amministrazione e da quanti del luogo con essa collaborarono, era pur necessario, On. Persico, che si facesse, non fosse altro che per chiarire alcune posizioni che, come anche sopra detto, sembrerebbero a prima vista essere state volutamente discordanti, ma che, invece, furono l’effetto di malinteso e soprattutto della urgenza di avere un provvedimento che troppo tardava e che le popolazioni invocavano ed insistentemente reclamavano, senza spesso rifuggire dal far degenerare in manifestazioni di piazza la estrinsecazione dei loro sentimenti.

“Né esito a ritenere che se i nostri sforzi si fossero uniti a quelli che, parallelamente, cotesta Associazione compiva per suo conto, i risultati sarebbero stati alquanto differenti, nel senso che i ricchi territori di Venafro e di Limatola sarebbero stati compresi nella ricostituita Provincia, così come previsto dal progetto con giusto e logico criterio.

“Ora che il provvedimento è un fatto compiuto e che in linea di massima esso ha in parte appagato il desiderio delle popolazioni, e che siamo a conoscenza delle finalità che informano l’Associazione da Lei presieduta, occorre passare in armonia alla seconda fase del problema, ritornare, cioè sulle promesse e sulle assicurazioni fatteci dagli uomini di Governo responsabili.

“Sono qui più volte pervenuti i voti del tenimento di Venafro, che abbraccia cinque Comuni, i quali, plebiscitariamente, chiedono di essere ammessi alla nostra Provincia, dalla quale furono distaccati nel 1861. Amministratori ed uomini politici di quella zona sovente visitano quest’Amministrazione ed insistono affinché i loro desideri siano appoggiati presso il Governo.

“Tali voti, uniti a quelli conformi di questa Giunta Municipale (seduta del 14 maggio) sono stati dallo scrivente presentati al precedente ed all’attuale Ministero. In copia sono alligati alla presente, per l’autorevole appoggio che V.S. vorrà darvi.

Limatola, che ebbe finanche l’illusione di essere stata compresa nella risorta Provincia, in quanto il primo decreto non ancora firmato dal Luogotenente, fu comunicato a quella popolazione con suo grande giubilo, è in grande agitazione e alcune manifestazioni di piazza hanno dato anche luogo a inconvenienti seri.

“Si è avuto finanche l’allontanamento, a furor di popolo, del sindaco di detto Comune, non del posto, unica persona, o quasi, contraria all’annessione e che si ostinava a non permettere alla Giunta di formulare voti per l’annessione appunto.

“Non sono, però, mancati i voti dei comitati politici, dei partiti e del C.L.N., che energicamente protestano contro la svanita annessione e chiedono che questa venga sollecitamente attuata.

“Non appena la situazione amministrativa di tale paese sarà stata risolta – ed ho buoni motivi per ritenere che ciò avverrà a breve scadenza e secondo le aspirazioni di quella popolazione, i cui voti non tarderanno certo a pervenirmi – quest’Amministrazione svolgerà analoga azione come per Venafro.

“Insistenze pervengono, altresì, da parte della popolazione di S. Agata dei Goti, Dugenta, ed altri Comuni della Provincia di Benevento, più vicini alla nostra, i cui interessi gravitano piuttosto verso questa, allo scopo sempre di venire a far parte della Provincia di Caserta.

“I voti di alcuni di detti Comuni sono stati rimessi a questa Amministrazione per conoscenza.

“L’azione da svolgere e il cammino da percorrere sono, quindi, ancora ben ardui. L’Amministrazione che ho l’onore di presiedere si augura di poter realizzare le giuste rivendicazioni della risorta Provincia nella autorevole compagnia di V.S., alla quale si ripromette, peraltro, di far capo nelle varie questioni che via via andranno a trattarsi nell’interesse della nostra Terra.

“Perseguendo, intanto, nell’opera di organizzazione e ricostruzione della Provincia, e col criterio di operare in armonia col programma di cotesta Associazione, pregiomi portare a conoscenza di V.S. che, in data 14 luglio, si sono riuniti presso questa Casa Comunale i Sindaci dei 79 Comuni che di essa Provincia al momento fanno parte.

“E’ con viva soddisfazione che La informo che la riunione è stata plebiscitaria

“Gli intervenuti hanno molto apprezzato l’iniziativa, ritenendola necessaria per gli interessi dei singoli Comuni e della Provincia tutta, contribuendo con entusiasmo alla formazione di un Comitato tecnico provinciale, costituito come dal verbale che si alliga in estratto.

“Detto Comitato innanzi tutto ha deciso di svolgere opera fattiva e concludente perché venga al più presto dato seguito alla richiesta a suo tempo fatta dallo scrivente per la costruzione di un ponte sulla Scafa di Chiazzo, secondo il progetto preparato sin dal 1940 dalla ex A.A.S.S. ed approvato dal Consiglio di Amministrazione di questa.

“L’Ingegnere Capo del Compartimento Genio Civile per la Viabilità Statale ha preso a vivo cuore la richiesta ed ha indirizzato al Ministro dei LL.PP. la nota N. 6690 del 15 luglio, che rimetto in copia, perché V.S. voglia unire il suo autorevole interessamento alla opera che il Presidente del Comitato tecnico provinciale verrà a svolgere prossimamente presso cotesti competenti uffici, non senza aver prima presi accordi con la S.V.”.