ALDIFREDA

Questo villaggio che, ritornando da Ercole, s’incontra all’estremità settentrionale di via Giannone, non potrebbe veramente ritenersi tale, avuto riguardo alla vicinanza a Caserta, alla caserma occupata dal Deposito militare, ai padiglioni ed alla civiltà de’ suoi 717 abitanti, quasi tutti tessitori di generi di stoffe di cotone. — Chiamato per ora Contrada Aldifreda, questo villaggio sarà quanto prima unito a Caserta pel sorgere de’ fabbricati che a questa stanno per unirlo.In generale nelle sopradescritte borgate si esercitava su larga scala, da uomini e donne, la tessitura di generi di cotoni colorati per vesti economiche da donna, cioè barracane, pelosette, telette e simili, venuta ora meno per la concorrenza delle fabbriche dell’alta Italia.Non mancano ancora, buona parte di essi, di avere locali decenti e comodi da servire refezioni e pranzi, all’impronto, anche a brigate numerose.

ALDIFREDA –  Battista Marello, il sacerdote-artista, responsabile dell’arte sacra per la diocesi di Caserta, aveva ragione: l’approfondimento dei saggi nelle fondamenta della chiesa parrocchiale di San Pietro ad Aldifreda ha svelato la preesistenza di un’altra chiesa risalente al XVI/XVII secolo.

I lavori di restauro in atto da un decennio, condotti sull’attuale struttura edificata nel XVIII secolo e rimaneggiata nel XX, hanno avuto una svolta decisiva, che consente di andare al di là della eliminazione di qualche elemento di disarmonia architettonica o del ritrovamento di qualche affresco. A due metri di profondità rispetto all’attuale piano stradale è balzato fuori un piccolo tesoro con la strutturazione dell’originaria abside, il bell’altare affrescato, un trittico devozionale dedicato a San Giacomo di Compostella, a Santa Caterina d’Alessandria (il cui culto all’epoca era zelato nella chiesa dell’omonimo titolo preesistente all’attuale Santuario di Sant’Antonio di Padova), ed a San Sebastiano, purtroppo mutilo dalla cintola in su ma ben identificabile per le gambe ferite dalle frecce del martirio. Accanto all’affresco coevo, esistente nell’androne di un palazzo in San Pietro ad Montes, ed alle artistiche tele conservate nella Cappella del Santissimo Sacramento della Cattedrale, l’una di ignoto e l’altra di Gerolamo Starace, si tratta della icone del santo patrono di Caserta probabilmente la più antica rinvenibile sul territorio. Peccato che i lavori di sopraelevazione della chiesa condotti nel settecento hanno distrutto irrimediabilmente l’immagine di San Sebastiano al cui fianco, è perfettamente conservata quella di un fedele orante, genuflesso. Le origini della chiesa casertana nella pianura, dunque, sono confermate nella loro antichità, soprattutto se si tiene presente la tomba tardo-longobarda rinvenuta in loco accanto ad elementi del simbolismo religioso dell’epoca, rappresentato negli squarci di affreschi ancora leggibili con chiarezza.
Il rinvenimento di cospicua quantità di scheletri umani, poi offre una immediata chiave interpretativa delle ragioni che fecero sopraelevare l’attuale chiesa su quella appena venuta alla luce. L’esigenza di creare adeguati luoghi di sepoltura in un tempo in cui il territorio si andava popolando maggiormente, dunque, ma anche quella di sottrarre la chiesa, che era sottoposta al piano campagna, alle inondazioni meteoriche che, provenienti da San Leucio, venivano convogliate, attraverso il vallone da cui sono state ricavati via Tescione e corso Giannone, nella direzione di via Trivio (oggi Mazzini). Ed ora che il tesoro è stato diseppelito, bisognerà procedere alacremente per renderlo fruibile nel contemperamento con le esigenze liturgiche della comunità locale, affidata ai padri cappuccini.

Manero