di Manero
La fotografia è un documento perfetto per fissare il tempo. È la memoria della società. Ciò che non è fotografato oggi, non esisterà domani.
Il “Gruppo fotografico il Borgo” nasce negli anni immediatamente successivi alla rivoluzione del 1968 che chiedeva al paese riforme ed un grande cambiamento. La fotografia veniva esaltata quasi che l’immagine, sembrava all’epoca, dovesse integrare e meglio presentare quello che la letteratura aveva fatto e continuava a fare con tanta autorevolezza. Nelle fabbriche le maestranze tentavano di scegliere modelli che spesso poco si addicevano al taylorismo imperante ed alla catena di montaggio tradizionale, si contestava il cottimo, mentre nelle università si chiedeva il diciotto politico e l’esame collettivo. In ogni dove si cercavano modi nuovi e diversi per prospettare un’esistenza che poco aveva a che fare con il consumismo e il sistema fordistico della società.
Al posto della cultura si impone l’industria culturale. Il mercato dell’arte si allarga anche alla fotografia che prima era la sorellastra della pittura o meglio un mestiere e non un arte. La richiesta dei beni culturali non si diversificava più da quella dei prodotti industriali, poiché anch’essi erano simboli di promozione sociale, prima ancora che di promozione culturale. Il prodotto artistico per essere fruibile ed accetto al mercato doveva essere gradevole, aproblematico, cioè omologo al sistema.
Theodor W. Adorno scriveva: “La cultura che, conforme al suo senso, non solo obbediva agli uomini ma continuava anche a protestare contro la condizione di sclerosi nella quale essi vivono e, in tal modo per la sua assimilazione totale agli uomini, faceva ad essi onore, oggi si trova invece integrata alla condizione di sclerosi; così contribuisce ad avvilire gli uomini ancora di più. Le produzioni dello spirito nello stile dell’industria culturale non sono, ormai anche delle merci, ma lo sono integralmente.”
Adorno, insieme a Horkheimer e Marcuse formano aspre critiche al sistema dei mass-media: una vera “industria culturale” manipolerebbe l’individuo per integrarlo in un sistema di produzione oppressivo.
Per Adorno i mezzi di comunicazione di massa sono essi stessi ideologia. perché svolgono il ruolo della diffusione di un’immagine del mondo che sia accettabile da tutti, e usano linguaggi uniformi e standardizzati che vadano bene per tutti e che contribuiscono a un conformismo generale. I mezzi di comunicazione di massa tendono a integrare l’individuo nella società esistente integra dolo con l’individuo nel sistema di dominio esistente. Di qui l’attenzione che Adorno ha dedicato alla pubblicità, per esempio. Alla pubblicità Adorno ha dedicato saggi importanti di analisi sociologica, perché nella pubblicità ha visto il tipico strumento di manipolazione delle coscienze: la pubblicità sembra uno strumento innocente, ma in realtà è uno strumento di seduzione delle coscienze, di manipolazione delle coscienze, di addomesticamento degli individui. La pubblicità, nonostante la sua forma seducente, è uno strumento diabolico per manipolare la coscienza individuale.
Nell’uomo a una dimensione che ha come sottotitolo “L’ideologia della società industriale avanzata”, di Marcuse fu uno dei libri ispiratori dei movimenti del ’68 che si manifestarono tanto negli Stati Uniti quanto nell’Europa occidentale.
Il filosofo sosteneva che la società industriale avanzata ha leggi ferree di funzionamento e l’uomo è asservito a queste leggi ferree. La società industriale avanzata è un enorme apparato, che non può non essere un apparato di dominio appunto perché non lascia mai margini alla libertà umana, all’iniziativa individuale: l’uomo è, per così dire, solo e soltanto una semplice rotella, un piccolo ingranaggio di un sistema enorme che lo sovrasta e di cui egli deve semplicemente subire l’esecuzione.
In questo contesto Marcuse contrappone al lavoro il gioco. Il gioco, dice Marcuse, è il momento in cui veramente l’uomo realizza la propria libertà: nel gioco l’uomo crea le regole, non trova regole create da altri, ma per l’appunto le regole del gioco sono create dall’uomo stesso. Nel gioco l’uomo non è succube della cosa, delle cose esterne, della oggettività, della cosalità, della naturalità. Nel gioco l’uomo è veramente presso di sé e giunge in una dimensione della sua libertà che gli è invece completamente negata nel lavoro.
Concetti che portarono al caos ed alla diseducazione di tutte le regole precostituite della società ed che ne stiamo pagando ancora oggi le conseguenze.
Prendono piede quello che negli anni cinquanta sembrava poco più sperimentazioni di pochi. Si esalta nel mondo letterario, e soprattutto nelle arti figurative, quel moltiplicarsi di ricerche, sperimentazioni, “neoavanguardie”. Di fronte alla negatività di certi fenomeni prodotti dall’industria culturale, scrittori ed artisti che tentano, isolatamente o legandosi in “scuole” o “gruppi”, la contestazione della prassi e dei valori della società di massa, con una varietà di atteggiamenti e di soluzioni che nelle arti figurative sembra avere assunto una volontà eversiva più marcata che nella letteratura.
E’ negli anni settanta che la fotografia d’arte è chiamata anche fotografia di ricerca e raggiunge il suo apice. Saltano agli onori della popolarità autori come Luigi Ghirri, Franco Fontana, Augusto De Luca, Paolo Gioli, personaggi che indicavano la galleria “il Borgo” come luogo d’eccellenza.
Nasce un’ulteriore modo di presentare la fotografia: la multivisione, basata sulla proiezione di diapositive in dissolvenza incrociata, spesso con un accompagnamento musicale. Questa tecnica veniva utilizzata a scopi didattici o pubblicitari, ma la forte componente creativa e poetica del mezzo fotografico ispirò la creazione in multivisione di autentiche opere d’arte. Palazzo reale ospitò quella della Kodak con una parata di oltre dodici proiettori sincronizzati, mentre per pochi addetti c’erano le dissolvenze incrociate e con due proiettori dei fotografi locali.
Gli assessorati alle culture di tutte le più importanti città d’Italia si sforzavano per dare alla gente quello che una filosofia imperante chiedeva ad alta voce. In questo contesto, che si pensò di fare del Borgo medioevale un luogo di incontri culturali e di eventi espositivi.
E’ in questo contesto in continuo divenire che Il “Gruppo Fotografico il Borgo” fu fondato da Mauro Nemesio Rossi, Pasquale Crupi, Antonio Ianniello, Mario Frattari e molti dipendenti della Olivetti che si era insediata nel 1969 nel casertano. Presto si aggiunsero al gruppo Francesco Orsomando, Franco Palmieri, Claudio Cennamo, Ileana Briosi e Francesco Maurano.
Portava con se l’esperienza del Gruppo Sportivo Ricreativo Olivetti, che da anni operava ad Ivrea e successivamente a Pozzuoli. Gli olivettiani si resero protagonisti di una prima mostra fotografica nella sala mensa della società che intitolarono “Made in Italy” prendendo il titolo a prestito dalle etichette poste sotto alle macchine contabili, realizzate in fabbrica. Portare nel 1973 un’attività ludica culturale fuori della fabbrica significava aprire la Olivetti al mondo sociale che lo circondava. Operazione che non fu vista bene dai dirigenti di allora che consideravano il Sud più come una terra da sfruttare che da fare evolvere e migliorare. Da qui il distacco dal gruppo sportivo Olivetti e la nascita del “Gruppo Fotografico il Borgo”
Il connubio tra l’Ente Provinciale per il Turismo ed i fotografi fu inevitabile. La fotografia ha in se gli elementi fondamentali della propaganda e della pubblicità. Un articolo corredato di immagine valeva più di uno scritto ed ecco che di notte nel piccolo laboratorio di Casertavecchia si lavorava per dare, a fine spettacolo, ai giornalisti le immagini della serata.
Le opportunità di scambi culturali con i registi, gli attori ed il mondo dello spettacolo non mancavano. Del resto la fotografia era ed è un elemento mediatico di cui qualsiasi performance non ne può fare a meno.
Sovente si discuteva con Carlo Porta, il regista Paolo Todisco autori delle sacre rappresentazioni. Ma ancor più con gli attori di livello internazione che si esibivano a Casertavecchia, Regina Bianchi, Bianca Toccafondi, Bruno Vilar, Paola Borboni che venivano ospitati dalle famiglie del posto. Era facile passare con loro delle ore nelle anguste stradine o seduti sui muretti della panoramica. Ma ancor più di notte durate le prove si discuteva della realtà locale rapportata alle grande metropoli che era il vissuto dei protagonisti delle commedie”.
Paola Borboni quando recitò la sua prima sacra rappresentazione lo dovette fare con un bastone per una caduta avuta di recente, aveva quasi ottant’anni era accompagnata dal marito Bruno Vilar, una superba voce ricca di malinconia che presagiva la sua tragica fine in giovane età. Un pomeriggio, quale presidente del gruppo “Fotografico Il borgo” non senza emozione le consigliai di vistare una mostra fotografica nella sede di Via del Castello, mi rispose: “un invito da un giovane con quegli occhi così maliardi non si può rifiutare.” Fu subito amicizia tanto che la signora Borboni insieme a Vilar registrarono su nastro alcune poesie inedite scritte da una fotografa casertana. Mi raccontò di un diverbio avuto con Renato Rascel che la chiamò vecchia: Un offesa a cui la Borboni replicò: “Un giorno sono stata giovane e bella, ma tu alto non lo sei stato mai.”
Renato Rascel era più refrattario a farsi fotografare, mentre più propensa lo era la giovane moglie Giuditta Saltarini. Durate lo spettacolo esibiva un vestito succinto e vi erano battute piene di sottintesi che fecero andare in escandescenza il parroco del Duomo frate Teolfilo Napolitano che giudicò l’esibizione poca adatta davanti ad un luogo sacro. Di Aldo Fabrizzi raccolsi i mugugni e le lamentele per la difficoltà di camminare sull’acciottolato. Mi disse chiaramente “se non le fate cambiare queste strade non torno più.” Ci sono voluti trent’anni prima che ciò succedesse.
Il reportage non era l’unico obiettivo, presto arrivarono le mostre che servivano da attrazione nei confronti di amatori dell’immagine e non solo. La piccola galleria di Via del Castello ospitò fotografi dal calibro di Mario Mulas, Gianni Berengo Gardini, Paolo Monti, il napoletano Mimmo Iodice, Luigi Chirri, Gabriele Basilico, Mario Giacomelli, Uliano Lucas, Fulvio Roiter. Fu un grande successo. La galleria di Casertavecchia, per volontà di Lanfranco Colombo, direttore artistico al Sicof di Milano, con le sue ricerche sulle foto storiche, che risalivano ai tempi dei Borbone, espose a Milano nell’ente Fiera una mostra sulla famiglia reale di origine spagnola. Si avvalse dell’apporto delle ricerche fatte nell’archivio di Palazzo Reale presso la soprintendenza.
Nel 1976 partono in coincidenza del “Settembre al borgo “gli Incontri Internazionali di Fotografia” con una rassegna espositiva che occupa ogni angolo di Casertavecchia. Compresa la chiesa dell’Annunziata con le foto rigidamente montate sottovetro ed attaccate a pannelli realizzati con tela di sacco sistemati sui muri.
Nella presentazione degli “Incontri Internazionali” del 1978 è scritto: “La grande diffusione dell’immagine con mezzi tradizionali ed elettronici, ci ha sottoposto un nuovo alfabeto comunicativo che con un linguaggio universale permette di farci conoscere fatti ed avvenimenti. Naturalmente il mezzo tradizionale, la macchina fotografica, ha svolto un ruolo di pioniere e per anni si è interessata a documentare e istruire”.
Esponeva Federico Patellani il primo in Italia, che iniziando con il settimanale Tempo nel dopoguerra, proponeva un nuovo tipo di informazione per gli anni futuri, la cronaca fotografica. Un modo di fare le riviste oramai tramontato. Con l’introduzione del piccolo formato fu dato meno spazio al contenuto fotografico e i riquadri ci fanno vedere ritratti a sussidio del testo.
Dopo Patellani il fotografo si è evoluto, ha cercato nuovi orizzonti e il suo prodotto creativo è passato nel campo dell’arte. La Fotografia occupa gallerie importanti al fianco di opere tradizionali, ci sono Ernst Haas, Jan Groover, Robert Heinechen, solo per citare qualcuno, nel Museum of Art di New York, ma anche gli Italiani Mario Giocomelli, Giorgio Lotti e Ugo Mulas.
Ma la ricerca evolutiva non si arresta, nella Piazza del Duomo in Casertvecchia e, proprio in occasione della quarta edizione degli «Incontri Internazionali con la fotografia 1978», nel campo dello spettacolo si tenta di dare un nuovo posto al fotografo che vive al margine del palcoscenico riprendendo finzioni che non sono proprie. Nel cabaret «Specchio» esiste l’attore fotografo che con la sua mimica tipica della ripresa svolge un proprio ruolo. Una dualità fotografia-spettacolo che toglie dal secondario chi aveva il compito di documentare il primario, inserendolo in questo.
Gli «Incontri Internazionali con la Fotografia» promuovono questa evoluzione, le sale espositive anguste sono chiamate una volta all’anno ad ospitare mostre nazionali e internazionali, orientamento storico e consequenziale del prodotto creativo, non dimenticando di dare spazio a quanti svolgevano con serietà ed impegno la difficile arte del ritrarre fatti, avvenimenti e situazioni o, semplicemente, a chi usando i mezzi della camera oscura realizzava un lavoro espositivo. Fu l’anno che anticipava i buoni rapporti con una Russia ancora sarà per due lustri alle prese con l’ideologia di un comunismo non più attuale. In quell’occasione fu ospitata una mostra fotografica dell’agenzia stampa Novosti, e “Settembre al Borgo” finì nelle cronache di Radio Mosca in lingua italiana. La rassegna dei fotografi russi si intitolava “Aspetti socio culturali della Russia oggi”.
“Questa mostra – scriveva Gamer Bautdinov, Direttore dell’Agenzia Novosti in Italia – conferma ancora una volta che la fotografia non è semplicemente una riproduzione o impressione fotografica di persone, paesaggi, e situazioni, ma anche fonte di informazione, documento, strumento di comunicazione, che talvolta può dire più della stessa parola stampata”.
Osservando attentamente le foto presentate alla mostra, ci si poteva fare un’idea del vastissimo e vario paese cui erano dedicate, nonché, ed è la cosa più importante, della sua gente con tutte le sue gioie e i problemi, nei momenti di lavoro e di riposo. E per capire di cosa vivevano e come vivevano quelle persone bastava guardare i loro volti.
“In secondo luogo – proseguiva il giornalista russo – la fotografia non è solo fonte di informazione, ma anche arte, specie quando è eseguita da veri maestri dell’obiettivo, che non sono pochi nell’Urss come non sono pochi i semplici fotoamatori. La passione per la fotografia comincia sin dagli anni di scuola: numerosi circoli e club favoriscono la crescita dell’abilità strettamente professionale dei fotoamatori (ce ne sono milioni), tra le cui schiere si formano degli autentici maestri. Un gran numero di mostre e concorsi anche tramite la stampa, (quotidiana e specializzata), contribuisce alla ricerca creativa degli amici della fotografia, si tratti di professionisti o di persone per le quali questa diventa un hobby a vita. Le foto presentate alla mostra sono, naturalmente, solo una piccola parte dell’enorme produzione fotografica realizzata nell’Urss; esse però danno la possibilità ai fotoamatori di Caserta, agli spettatori del “Settembre al Borgo” e ai visitatori provenienti dalle altre città campane di apprezzare le opere dei maestri sovietici il che contribuisce a una maggiore conoscenza reciproca della vita e dell’attività dei due popoli.”
Quando Gamer Bautdinov venne all’inaugurazione della rassegna, nel “Circolo del Forestiero” in piazza Duomo fu seguito da poliziotti in borghese e dai carabinieri. Con somma meraviglia, prima del taglio del nastro, con appropriata discrezione, i dirigenti del Gruppo Fotografico subirono un vero e proprio interrogatorio dei servizi segreti italiani, che volevano sapere il perché, le modalità della visita e della presenza del cittadino russo a Casertavecchia. “Rapporti di reciprocità” spiegarono, non perché in Italia non esistesse la libera circolazione degli stranieri, ma solo perché i russi si comportavano nel loro paese allo stesso modo nei confronti dei cittadini italiani. Tra le delegazioni, comunque, ci fu molta cordialità e scambio di doni. Al “Gruppo Fotografico il Borgo” Bautdinov lasciò una bottiglia di vodka.
L’eco della Fotografia di Caserta varca i confini della provincia e le rassegne vengono richieste da molte altre città italiane Nel 1980 il comune di Sorrento organizza tra novembre e dicembre l’“Incontro con la fotografia” nel prestigioso chiostro di San Francesco. Scriveva il presidente del locale circolo fotografico: “In coincidenza delle mostre personali e collettive che i soci del Cinefoto Club Sorrento terranno a Sorrento nel locale in Via S.M. delle Grazie, dal 15 novembre verranno allestite una serie di mostre fotografiche presentate a Casertavecchia in occasione del Settembre al Borgo. Si possono ammirare in queste mostre opere di: Alfredo Ghiroldi, Paolo Monti, Patrizia Tedesco, Mario Soldo, Stefano Pesaro, Claudio Mazzacurati, Thomas Thompson (pseudonimo di Mauro Nemesio Rossi) e quelle di un fotoamatore degli inizi del secolo, il ferrarese Iginio Muzzani, che documentò (1898-1906) tra le altre cose, tutta la fase di realizzazione della galleria del Sempione”.
Anno 1981 da poco si erano spenti le luci del “Settembre al Borgo” quando nasce “Fotografia Comparata” L’idea venne fuori mentre si discuteva del futuro della galleria “il Borgo” e della FIAF Federazione Italiana Associazioni Fotografiche ancora legata ai vecchi schemi del concorso. Si pensò di dare vita ad un pubblicazione bimensile in collaborazione con le università. Riccardo Campa,docente di storia delle dottrine politiche alla Federico II di Napoli e lo stesso giovane Lello Mazzacane erano stati suggeritori dell’iniziativa. Il problema da superare era uno solo quello economico e la diffusione della rivista. Furono superanti con quell’incoscienza che è proprio della gioventù.