La storia di Caserta e dei casertani attraverso la stampa sembra essere caratterizzata da un solo filo conduttore quello della qualità dei suoi giornali e dai protagonisti politici che ne condizionavano e giustificavano l’esistenza.
Una stampa che veniva sintetizzata molto negativamente dal rapporto del funzionario di polizia che aveva avuto l’incarico di traccaire un profilo delle tre maggiore testate.
Non era certamente favorevole il giudizio per quanato riguardava i settimanali più diffusi. Per L’Unione, Terra di Lavoro e La Vita così si esprimeva: “Sono palestre di turpiloquio vendute al maggiore offerente ed aperte al più acceso conflitto di basse passioni locali, agitate con l’arma della menzogna, della più lorda contumelia e della diffamazione. (La stampa) Ignora ogni decoro e senso di responsabilità , su tutto specula, turba l’ordine delle famiglie, inquina la vita cittadina e falsa le correnti della pubblica opinione. Questi pennaioli sono i masnadieri del giornalismo”. Ancora più pesante era il giudizio nei confronti dei giornalisti accusati di godere poco credito nella pubblica opinione.
L’analisi è possibile leggerla negli appositi faldoni della prefettura conservati presso l’archivio di Stato.
Tutto inizia il 25 maggio 1920, n° 925, quando con una circolare a firma del capo di gabinetto del ministro dell’Interno, ufficio stampa, era richiesto ai prefetti del Regno di trasmettere l’elenco aggiornato e completo dei giornali politici che si pubblicavano nel capoluogo di loro amministrazione, accompagnato da tutte quelle informazioni che sarebbe stato possibile raccogliere «sul programma politico dei più importanti di detti giornali, sul loro finanziamento, sulla loro tiratura» e «sui precedenti morali e politici delle persone dei direttori e dei principali redattori».
Il questore, incaricato dal prefetto di Caserta, con nota del giorno successivo raccoglieva tutte le informazioni richieste, e trasmetteva il 12 luglio all’Ufficio di prefettura una dettagliata informativa, nella quale indicava in cinque testate il numero dei giornali politici che si pubblicavano nel capoluogo, riportati nel seguente ordine: 1) L’Unione, 2) Terra di Lavoro, 3) La Vanga, 4) L’Alba, 5) La Vita.
Terra di lavoro e l’Unione erano senza dubbio i settimanali più seguiti avevano una impostazione tradizionale e contavano mediamente otto, dieci pagine. Spesso la prima pagina diventava un vero manifesto da poter essere messo a disposizione dei partiti politici o del parlamentare a cui faceva riferimento il periodico. Avevano una struttura completa con annessa tipografia e per questo dei costi anche abbastanza sostenuti per l’epoca. L’unico vantaggio e che erano il solo mezzo di diffusione delle notizie locali e nazionali. Del resto i quotidiani nazionali arrivavano sulla piazza con notevole ritardo. A contribuire alla bassa diffusione era il grande analfabetismo per cui i periodici erano oggetti di attenzione in ambienti culturalmente avanzati, nei circoli e nelle associazioni dei combattenti.
Detenevano per questo un vero potere ed erano capaci di condizionare l’opinione pubblica.
De L’Unione si stampavano 1.500 copie a numero. Era un organo del partito dell’On. Alberto Beneduce, da cui era in parte finanziato. Ne era direttore Emilio Musone, sul cui conto era annotato che «risultava più volte condannato per diffamazione a mezzo stampa». «Epressione della posizione politica di Beneduce, in quanto organo dell’Unione Democratica Combattenti» era anche Terra di Lavoro. Era diretto da Eduardo de Leonardis, che aveva riportato condanne «per duello, lesioni, ingiurie e diffamazione», inconvenienti cui non di rado si andava incontro per un certo modo, passionale e spregiudicato insieme, di intendere e interpretare a quei tempi il giornalismo. La Vanga era diretto, invece, da Saverio Merola, «socialista riformista indipendente di Marcianise». Organo del partito del Lavoro, «emanazione del Merola stesso», ed era finanziato dalle «sottoscrizioni degli aderenti al partito». Vicino alle posizioni dell’on. Giuseppe Buonocore era L’Alba, diretto da Silvio Torre, che, con una tiratura limitata a sole 400 copie, poteva ritenersi, «per ora», organo del partito democratico-sociale, dal quale era sovvenzionato. Come L’Alba, anche La Vita, che si intitolava «giornale politico-democratico-sociale» era «organo del partito dell’On. Buonocore». Stampava 2000 copie a numero ed era diretto dal sammaritano Aristide Beato. Tanto sul conto di Torre quanto su quello di Beato, informava il questore, non risultavano «precedenti penali né politici in questi atti», anche se «il Beato Aristide era persona di non buona fama».
Il giudizio complessivo che, alla fine, il questore, stringatamente, dava di questo gruppo, era tutt’altro che lusinghiero, sia sotto il profilo dell’organizzazione redazionale che sotto quello attinente la linea editoriale e la sincerità delle convinzioni politiche. Scriveva, infatti, in proposito, cogliendo probabilmente alcuni dei limiti più vistosi di quel giornalismo locale: “I periodici suddetti non hanno redattori fissi. Non hanno un vero e proprio programma politico, e tranne La Vanga, che appartiene al Merola, indipendente, formano il loro programma al momento opportuno ed a seconda del gruppo o partito che loro offre maggiori guadagni”.
L’anno successivo nulla praticamente cambiò nel panorama giornalistico cittadino. Se ne ha conferma da una comunicazione, in data 12 agosto 1921, trasmessa, su espressa richiesta, dalla questura alla prefettura, con cui si assicurava che, all’elenco delle testate di sopra riportate,«nessuna variazione era da apportare».
Se sulla qualità dei giornali il giudizio non era positivo, peggio ancora andavano le cose quando bisognava parlare dei loro direttori.
Di Emilio Musone reponsabile de L’Unione si relazionava che era stato «processato per diffamazione e rendeva pubbliche contumelie. Simulava la politica Nazionale e difendeva i fascisti indisciplinati e i simpatizzanti repubblicani.» Il rapporto si concludeva con: «L’opinione pubblica gli assegna il posto che merita».
Per Aristide Beato, direttore de La Vita, il profilo era ancora peggio, veniva definito un turpe. Contava «non meno di undici addebiti penali. Iniziò 1’iter criminis con un procedimento per incesto, lo segui con corruzione di minorenni, procurati aborti e truffe e diffamazioni: il certificato penale per ora si chiude col reato di diserzione. E’ al servizio di chi meglio lo paga. Ora è con gli espulsi del fascismo, conduce una campagna pro Padovani». La Vita, che vendeva circa 2800 copie, poteva contare anche su una piccola redazione e dell’opera di un capo redattore nella persona dell’avvocato Antonio Quartulli.
Le note riguardante il Quartulli specificavano che aveva «militato con tutti i partiti, dal socialista al popolare e che non era stato «aettato nel Fascismo».
Eduardo de Leonardis era il direttore di Terra di Lavoro originario di Corfù e quindi di origine greca, era stato condannato più volte per ingiurie, diffamazioni e duello. Seguiva la politica dei maggiori compensi. «Ora è col Governo Nazionale, Combatte l’Amministrazione di Caserta e più aspramente il sindaco Picazio».